Un assist per morire di Andrea Monticone

Se amate il calcio preparatevi perchè nell’ultimo capitolo sarà impossibile trattenere una lacrima (ok, forse sono io che vivo un periodo emotivamente difficile). Rimane il fatto che Un assist per morire, di Andrea Monticone, Golem edizioni è probabilmente il miglior libro italiano mai scritto sul calcio. E dire che non è un libro sul calcio.


E’ più che altro un giallo, quasi un noir nei toni, sebbene tutto il nero arrivi da ciò che si cela dietro il dorato mondo del calcio. Che poi qui non è per nulla dorato visto che non parliamo di serie A ma di Lega Dilettanti. A proposito… quante volte vi è capitato di leggere un romanzo ambientato nella Lega Dilettanti italiana?

Dunque andiamo con ordine. La giovane promessa Mark Andreani, 17 anni fantasista, proprietà Juve, parcheggiato nella Sanpa, appunto tra i Dilettanti, fa un volo dal balcone di casa e si schianata sull’asfalto. In casa c’è solo la giovanissima fidanzata, che però è chiusa in bagno. Cosa è successo? Come mai Mark ha una siringa infilata nel braccio?

Si parte da qui per un doppio percorso. Quello dell’indagine e quello nel dietro le quinte della squadra. Monticone ci accompagna con maestria nell’indagine, ma soprattutto ci guida con passione nel mondo della Lega Dilettanti. Ne viene fuori un panorama che è una via di mezzo tra i sogni dei più giovani e disillusione dei più anziani. Tra chi gioca per sfondare e diventare qualcuno, chi per non lasciare una speranza e chi semplicemente perchè ha sempre fatto quello nella vita.

Le storie si intrecciano. Abbiamo l’anziano Pat, portiere quarantenne, capitano, una carriera sempre ai margini con un paio di finestre sul calcio che conta. Poi i giovanissimi parcheggiati dalle società di primo piano, come Mark e Bobo. E ancora gli stranieri, arrivati più che altro in cerca di una speranza di vita. E poi naturalmente c’è la società, i proprietari, gli intrallazzi, il doping… e qui la vicenda “sportiva” si intreccia con l’indagine e ci porta dalle storie personali, dai sogni, dalle delusioni, al giallo vero e proprio, all’inchiesta e ovviamente al sostituto commissario max Brandi. L’indagatore protagonista che merita una considerazione a parte per un paio di motivi.

Monticone crea un poliziotto molto particolare. Non tanto perchè ha un passato non proprio pulitissimo (quanti ne abbiamo visti di eroi sporchi), non solo perchè ha metodi spicci (come sopra), nemmeno tanto perchè è gay (qui il campo si restringe) ma perchè è (a mia memoria) la prima volta che un poliziotto gay è trattato in maniera non macchiettistica.

Il tema mi tocca, ne avevamo parlato già durante il Lovers Film Festival, ed è interessante. Brandi è un normale poliziotto, ha comportamenti normali, una vita normale (con i problemi e le difficoltà di tutti, anche qualcuna in più della media), e vive con un compagno regolare, con cui condivide tutto, conoscenze e segreti, quotidianità, sogni, difficoltà, liti, contrasti, semplicemente questo compagno è un uomo. Alleluja! Alleluja!

Naturalmente la cosa non è che sia passata inosservata e gli è costata parecchio in passato ma ora è assodata e in qualche modo accettata. Ma non è questo il punto fondamentale. Il punto fondamentale è come la sua vita di coppia ci viene presentata dall’autore.

Oh, torniamo un momento alla parte sportiva, all’amore per il calcio, per la tecnica, per i personaggi. Monticone ne intride il romanzo come fosse Rum in un Babà, lo senti colare, esplodere, deborda dai lati della bocca man mano che addenti le pagine. I riferimenti sono continui, i personaggi (quelli reali) appaiono come santini, come miti, come icone, ma anche come semplici calciatori che hanno realizzato il proprio sogno e contribuiscono ad accrescere quello degli altri. Li vediamo continuamente riflessi negli occhi dei giovani calciatori, che accettano di tutto pur di raggiungere quei palcoscenici e diventare come i loro idoli. Che sia, come spesso accade nella vita, il troppo amore a portare alla perdizione?

L’intervista con Andrea Monticone.

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