E’ un affascinante viaggio che riempie un vuoto di 28 anni questo La faglia, Scritturapura, di Massimo Miro. Un vuoto che viene colmato (quasi) da una telefonata che ripiomba il protagonista in un mondo che aveva provato a dimenticare.
Estate 2006. L’ingegner Mezzasalma, apprezzato professionista che vive in Brianza, riceve una telfonata che lo avverte che il suo amico d’infanzia Jumbo si è risvegliato da un coma che dura da 28 anni. Così il nostro ingegnere torna ad essere Gomez e si mette in viaggio verso Torino, tornando a Borgo Stura, la periferia dove è nato e cresciuto, tornando al ricordo degli amici di un tempo, tornando al 1978, tornando al giorno in cui lui e i suoi amici (piccoli delinquenti di periferia come lui) salvarono Aldo Moro dal covo delle Brigate Rosse. E noi torniamo indietro con lui a quei giorni.
Massimo Miro è scrittore vero. Riesce a costruire una storia che non solo funziona ma ci viene rivelata spicchio dopo spicchio, senza anticipare nemmeno una sorpresa e lasciando al lettore la goduria di assaporare ogni momento, ogni brandello di storia, ogni sorpresa svelata con l’abilità di un prestigiatore.
Nel 1978 Borgo Stura (che in realtà non esiste ma è sovrapponibile alla periferia nord di Torino) è luogo di immigrazione dal sud Italia e i giovanisimi protagonisti sono i figli di questa immigrazione. Si muovono tra piccoli furti, giri in motorino, risse e minacce. Borgo Stura è una periferia talmente sfigata che non è nemmeno famosa per essere violenta, come Barriera o Falchera o Mirafiori Sud. Questo però il loro mondo e non ne conoscono uno diverso. Così lo amano ed in fondo nemmeno sognano di allontanarsene per ambire ad un futuro migliore.
Il gruppetto di ragazzini cerca di sbarcare il lunario, improvvisa un avventuroso viaggio in Liguria, si gode le corse in motorino dell’unico proprietario del mezzo a due ruote della combriccola. Soprattutto è pronto a sfruttare ogni occasione, come quella su cui è incentrata la vicenda (e che, fatemelo dire, è una genialata).
In questa rocambolesca iperbole di personaggi e situazioni si ride e si piange come capita nelle vite di tutti, a prescindere da quale sia il contesto o il teatro. E qui il teatro (che diventa a tratti protagonista) è il quartiere. Un teatro che ha addirittura un sipario, un confine, quella Faglia che dà il titolo al romanzo e segna davvero lo spartiacque tra noi e loro, tra qui e altrove.
Occhio però, perchè questa storia in cui si ride e si sorride è in realtà una tragedia enorme, sociale e personale dei protagonisti. Lo scoprirete pagina dopo pagina oppure (come è accaduto a me) ve ne renderete conto solo una volta chiuso il libro.
A questo punto non vi rimane che rallentare, superare la faglia ed entrare nella periferia di Torino del 1978. E se volete potete farvi accompagnare dall’intervista con Massimo Miro, che questa storia ha ideato.