C’era una volta in Anatolia è senza dubbio uno dei migliori film presenti nelle sale italiane in queste settimane.
Elegante, pacato, con ambienti ed una fotografia di una pulizia sorprendente il film di Nuri Bilge Ceylan è profondamente interiore, pur raccontando sostanzialmente di un’indagine per omicidio.
Tre macchine sono in giro per la campagna dell’Anatolia in una notte scura.
A bordo due rei confessi di omicidio stanno guidando il commissario, il procuratore, il medico legale, un paio di militari ed una schiera di poliziotti sul luogo in cui il cadavere è stato seppellito.
Il problema è che il viaggio si prolunga, i due uomini non riescono a riconoscere il luogo e la ricerca diventa un viaggio notturno alla scoperta di ben altro che un corpo nascosto.
La notte è il momento ideale per le riflessioni e per le confessioni, così i protagonisti finiscono per raccontarsi le proprie vite, i propri dubbi, i sogni (più che altro i sogni caduti).
Vengono fuori le personalità, i problemi, le cose non dette, i segreti mai rivelati nemmeno a se stessi.
Quello che non viene fuori è il cadavere.
Una sorta di Aspettando Godot in movimento, passando da un campo all’altro, da un’incazzatura ad un momento di vicinanza.
La notte passa così, in attesa di qualcosa che sembra proprio non voler arrivare.
Ma poi il sorgere del sole porta luce anche sulla vicenda ed allora ecco che il cadavere salta fuori e con lui anche le risposte (una parte) ai dubbi seminati dai protagonisti.
E viene fuori anche parte del racconto dell’omicidio, che fino a quel momento sembrava essere solo lo spunto per mostrare altro, spunto di cui mai avremmo saputo di più.
Il giorno rivela molto, chiarisce dubbi e segreti, è l’altra faccia della notte. Luce e buio. Detto e non detto. Segreto e rivelazione.
E non mi riferisco agli assassini, ovviamente.
Ceylan ha un suo stile molto chiaro, evidente, una firma chiara.
Gli ambienti, le luci, i silenzi.
E quel bambino che compare per pochi istanti assolutamente in secondo piano ma che è forse la speranza di cambiare le cose, di accendere la luce.
Perchè sullo sfondo c’è anche uno spicchio di Anatolia e delle sue difficoltà.
Simbolica e rappresentativa una frase del commissario.
“Tutti pagano per i loro peccati, ma i bambini pagano per quelli dei grandi”