Jennifer Lynch non mette nulla (o quasi) della follia dell’augusto genitore in questo suo Chained, creando invece un thriller potente, molto chiuso e riflessivo, più psicologico che visivo.
Un folle rapisce una donna e suo figlio di nove anni. Uccide la donna e sequestra il bambino costringendolo a servirlo negli anni a venire.
Dovrà cucinare, pulire la casa e naturalmente aiutarlo a seppellire in cantina le ragazze che ogni tanto si porta a casa, violenta e poi uccide.
Il bambino non può fuggire perchè lui è incatenato e la casa isolata nel nulla ed il rapporto tra i due diventa morboso, estremo, inquietante.
Tutto raccontato con una freddezza chirurgica, Jennifer Lynch crea una situazione assurda, estrema, fuori logica facendola risultare quasi ovvia e credibile (ma del resto abbiamo casi di cronaca che non si discostano molto).
Il centro della faccenda è il rapporto tra il folle (uno straordinario Vincent D’Onofrio) e il ragazzo (il davvero inquietante Eamon Farren), che diventa quasi una distorta relazione padre-figlio al punto che l’uomo lo fa studiare e gli insegna (a modo suo) come comportarsi.
Molto bene è anche raccontato il tormento dell’uomo, la sua mente disturbata ed i motivi che l’hanno portato a diventare quello che è.
Non finiamo per schierarci dalla sua parte ma riusciamo a comprendere la sua follia.
Più difficile per assurdo stare dalla parte del ragazzo, comprendere la sua evoluzione, che pure è evidente.
Il finale, per nulla banale, è sorprendente da almeno un paio di punti di vista… uno dei quali da drammatica risposta ad un interrogativo che fin dall’inizio risulta inevitabile.