In Transit ci sono quelle lunghe strade americane che vanno verso il Texas, due macchine che si inseguono, poi una foresta col suo bel fiumiciattolo, una banda di ladri pronti a tutto ed una famigliola in difficoltà che vorrebbe ricucire i propri strappi.
In mezzo Antonio Negret ci mette una rapina ed un tentativo di fuga per dare vita ad una via di mezzo tra un thriller, un action, un road movie (vi viene in mente altro?).
Si comincia secchi, con l’assalto al furgone portavalori, la doppia esecuzione senza pietà, per farci capire che questi son proprio cattivi cattivi.
Poi però i quattro, per superare un posto di blocco, infilano il malloppo nella macchina di una famigliola in vacanza.
Peccato che il padre combini casini in serie ed il recupero della refurtiva si fa più duro del previsto.
Comincia così un inseguimento sotto il sole del Texas che coinvolge lo sceriffo locale, qualche alligatore ed un pescatore di passaggio.
Il padre di famiglia, che è stato in galera per truffa e quindi ormai nessuno gli crede più, cerca di proteggere la famiglia (ma nemmeno loro gli credono molto) e al tempo stesso di riconquistarla.
Buona la tensione che Negret riesce a mantenere per tutto il film, che è comunque un buon film, molto ritmato.
E funziona nonostante si ecceda un po’ con i dettagli delle macchine in corsa, con la guida spericolata e a volte anche con movimenti di macchina (da presa, non da corsa) azzardati.
Transit è comunque un road movie dove l’evoluzione classica del genere non è però data dalla psicologia dei personaggi ma dal continuo ingarbugliamento della situazione, che si fa sempre più difficile un po’ per tutti.
Per l’uomo, che invece di recuperare la fiducia della famiglia rischia di perderla definitivamente, per i quattro briganti, che dopo aver compiuto un colpo abbastanza pulito si incasinano sul più semplice.
E si continua così, con la situazione che si aggroviglia passando da una difficoltà ad una ancora peggiore, fino ad arrivare al punto in cui è chiaro che da lì non si esce più.
Non manca la riflessione su come la società abbia difficoltà a reintegrare un ex detenuto, a dargli nuove possibilità e nuova fiducia, anche se è un po’ nascosta tra le pieghe dell’azione.
Le interpretazioni sono mediocri, spicca solo il cattivissimo, duro e crudo James Frain.
Peccato per il finale un po’ in vacca con la madre di famiglia Diora Baird che si trasforma in una specie di Ramba armata di mitra nel bel mezzo della foresta pluviale.