Il nuovo libro di Bruna Bertolo è il risultato di un evidente approfondito lavoro di ricerca negli archivi. Ne consegue che Donne e follia in Piemonte, Susalibri, è estremamente interessante per capire meglio una situazione che per oltre un secolo ha interessato il nostro Paese (e non solo). Il sottotitolo, Storie e immagini di vite femminili rinchiuse nei manicomi, chiarisce meglio il tema.
Il tema è purtroppo comune a tutta Italia e al resto del mondo. La condizione delle donne negli ospedali psichiatrici. Bertolo analizza un lungo periodo che va dall’inizio dell’800 fino al 1978, data di entrata in vigore della legge 180, la Legge Basaglia, e simbolica fine dei manicomi in Italia. Simbolica perchè è noto che il problema venne risolto solo in parte e lo stesso Basaglia prevedeva un’appliczione ben diversa della legge che porta il suo nome.
La parte più tosta di questo lavoro non è però tanto la , tristemente nota, cndizione delle donne in manicomio, quanto le motivazioni per cui le donne venivano rinchiuse, molto meno note e parimenti terribili. Una donna poteva finire in manicomio per i più molteplici motivi, dalla libertà sessuale alla libertà socio/politica, fino alla presenza di un amante (che solitmente era l’amante del marito). In pratica il manicomio finiva per essere l via d’uscita degli uomini di famiglia, mariti, padri, fratelli, in presenza di una “donna scomoda”.
Qui semplifico ovviamente molto, ma il tema è estremamente e approfonditamente sviluppato nel libro di Bertolo. E corredato da molteplici esempi e racconti, scoperti spulciando gli archivi dei manicomi piemontesi, alla ricerca di lettere ricevute, lettere mai spedite, diari, cartelle cliniche e appunti di medici.
Incontriamo quindi storie e persone (spesso ridotte a quanto più lontano possiamo immaginare dall’idea di “persona”), ma incontriamo e scopriamo ancche i luoghi di questo particolare dolore in Piemonte. Collegno, ovviamente, ma anche via Giulio a Torino, Savonera, Racconigi, Grugliasco. Un viaggio che rischia di rimanere chiaramente impresso nella mente del lettore, anche perchè corredato da una vasta serie di fotografie e documenti, spesso drammatici.
Ci imbattiamo nei noti strumenti di tortura (cura e contenimento mi sembrano termini meno adatti), nei luoghi, nei momenti fondamentali, ma anche in figure positive che cercarono di cambiare la storia, come i medici Giuseppe Luciano e Annibale Crosignani. Ma soprattutto, ed è questo quello che più di tutto rimane, ci imbattiamo in storie di donne vere, reali, che non sono personaggi letterari e che spesso hanno sofferto immensamente, impotenti, per tutta la vita.
Mai come questa volta mi rendo conto che queste poche righe sono insufficienti farvi comprendere la profondità e l’interesse del lavoro in questione. Vi invito quindi a leggere la mia intervista con Bruna Bertolo per capirne un po’ di più, e soprattutto a procurarvi il libro.