Mediterraneo

Se avete occasione di parlare con Claudio Bisio di cinema non mancherà di dirvi che lui è un Attore Premio Oscar.
E non vi sta raccontando una palla. Già perchè tra gli otto soldati italiani protagonisti di Mediterraneo troviamo anche lui.

E Mediterrano vince l’Oscar come miglior film straniero nel 1992 compiendo così almeno un paio di miracoli cinematografici.
Prima di tutto il lancio (inevitabile) a livello mondiale di Gabriele Salvatores, che fino a quel momento aveva fatto due ottimi film come Marrakesch Express e Turnè ma senza raggiungere la consacrazione.
E poi il rilancio definitivo come attore drammatico di Diego Abatantuono che riesce finalmente a sganciarsi dal ruolo del terrunciello che tanto successo gli aveva portato negli anni 80 e del quale non ha mai comunque rinnegato (giustamente) nulla.

mediterraneo

Un manipolo di soldati italiani sbarca su una piccola isola greca (si tratta di Megisti/Kastellorizo ma se non sbaglio nel film non ha nome) per prenderne possesso militarmente. Sull’isola, dopo l’occupazione tedesca, sono rimasti solo donne, vecchi e bambini e gli italiani non sembrano intenzionati ad operazioni ostili. Anzi si integrano perfettamente nella vita locale tanto da non accorgersi nemmeno dell’armistizio fino all’arrivo di un solitario aereo che li riporta alla realtà e al paese natio.

Oscar a parte, il film è un affresco straordinario di una situazione che durante la Seconda Guerra Mondiale deve essersi ripetuta in più parti dell’Europa, se consideriamo che vicende simili sono raccontate in tanti altri film (Il mandolino del Capitano Corelli e I due colonnelli giusto per fare due titoli).
I soldati italiani sono ragazzi che in guerra non ci sarebbero voluti andare e sono più attratti dalle ragazze (e da una storica partita a pallone sulla spiaggia) che non dai doveri militari.
I personaggi che Salvatores mette in scena sono caratterizzati in maniera evidente e molto ben riuscita tanto da ritagliarsi ognuno un ruolo ben preciso nella vicenda.
E naturalmente non posso esimermi dal segnalare l’ambientazione da sogno, palcoscenico adatto più ad una vita serena e con problemi quotidiani che non a situazioni da guerra. Guerra che infatti in Mediterraneo si affaccia solo di riflesso, con notizie che arrivano (con grande ritardo) via mare.

Ma la vicenda raccontata è anche la storia di una fuga. Una fuga dalla propria vita, o meglio una fuga dalla nuova vita che i ragazzi trovano al loro ritorno in Italia. Il dopoguerra è talmente drammatico, talmente difficile, che la reazione incontrollabile per alcuni di loro è quella di mitizzare l’isola e decidere di trasferirsi definitivamente in un mondo diverso, più sereno e lontano dal dramma della ricostruzione.

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