I miei, i tuoi, i nostri di Gabriella Mosso

Ti ritrovi per le mani un libro che racconta la storia di una famiglia. E non è una famiglia famosa. Non è una famiglia importante, conosciuta. Non sono una dinastia di politici, di scrittori, di imprenditori… toh! …nemmeno una dinastia di calciatori e ballerine! E allora ti chiedi: perchè mai questo libro è stato scritto? Cosa ci troverò dentro? Possibile che le sue 300 pagine (non è nemmeno un libercolo snello) contengano qualcosa di interessante per un lettore che non faccia parte di quella famiglia?


La risposta è (sorprendentemente, lasciatemelo dire) si! Il volume in questione si chiama I miei, i  tuoi, i nostri, porta il curioso sottotitolo di Parentele baravantan-e (non che il titolo non sia curioso) ed è stato scritto da Gabriella Mosso per arabAfenice edizioni.

Si parte da lontano. Da una coppia di bisnonni che coltivavano i campi a inizio ‘900 in Piemonte. Poi si passa ad una figlia (la nonna dell’autrice), un po’ ribelle, una donna che, in tempi difficili sul tema, si scontra con la famiglia per difendere il suo amore. Pian piano si viaggia poi attraverso l’intero secolo scorso e l’inizio di questo millennio saltando da uno zio ad un nipote, da un padre ad un figlio, da un marito ad un certo numero di cani.

Avrei voluto provare a ristabilire l’ordine delle parentele nel raccontarvi il libro ma vi assicuro che è impossibile farlo, ci si perde inevitabilmente in una schiera di figliolate multiple, di figli adottati, di parenti stretti e lontani, di separezioni che allargano ulteriormente la famiglia.

Gabriella Mosso prova a tenere il racconto in un ordine il più possibile cronologico, ma anche lei finisce per perdersi nei ricordi e saltare su e giù nel tempo, legando una nonna ad una nipote, una figlia ad un cane, uno zio ad un fratello, e via così.

Attenzione però, perchè il risultato non è per nulla confuso. E’ un bel racconto di vita. Una vita (una serie di vite) avvincenti come lo sono tutte le vite, se si riesce a scendere nei dettagli, se si fa attenzione ai particolari. Certo qui abbiamo un discreto numero di episodi memorabili, di incontri, di scontri, di case cambiate e di lavori persi. Siamo tra l’altro in una famiglia discretamente benestante, quindi con possibilità di muoversi e di allargare le proprie conoscenze e attività.

In fondo è una storia da godere, da ascoltare, da vivere con chi la raccconta. Divertendosi ed emozionandosi, prendendo parte alle gioie e ai dolori dei protagonisti. Tifando per l’uno o per l’altro, soffrendo per le malattie, ed esaltandosi per i successi.

Forse il merito è della prosa coinvolgente dell’autrice, del suo modo di racontare una storia (quasi) comune. Curioso poi il puntellare i capitoli con frasi e detti in piemontese, utile a localizzare le vicende e a renderle più vive e reali.

Oh, ve lo dico: alla fine mi sono chiesto se sarei in grado di raccontare la storia della mia famiglia. E sinceramente, credo proprio di no.

L’intervista con Gabriella Mosso.

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